mercoledì 28 settembre 2022

Perché ci chiamiamo Rifondazione comunista

Riproponiamo questo articolo di Sandro Valentini, uscito sulla rivista “Essere Comunisti”, nel giugno del 2011. L’articolo, nel ricostruire il primo anno di vita di Rifondazione comunista, pone l’accento sulla volontà di molti militanti di lavorare per un processo rifondativo del movimento comunista italiano. Un processo e una ricerca teorica che mai decollò per via delle dinamiche interne a una Rifondazione comunista già da allora divisa in componenti molto strutturate. È interessante notare che molti riferimenti ai protagonisti di allora hanno ancora oggi responsabilità di primo piano nei diversi partitini comunisti, che hanno una scarsissima influenza politica.

Quando Valentini scrisse questo articolo era ancora un dirigente nazionale del Prc. 


Nella mattinata di domenica 3 febbraio del 1991 si riuniscono nella sala E della Fiera di Rimini un gruppo di delegati del XX Congresso del Pci per partecipare alla conferenza stampa in cui Sergio Garavini annuncia la nascita del Movimento per la rifondazione comunista. I delegati sono una novantina su 1260. L’incontro si tiene a conclusione della prima fase congressuale. La scelta è di non partecipare alla votazione sullo scioglimento del Pci e alla fase della costituzione del Pds. Insomma: non si esce dal Pci, bensì non si aderisce al Pds.

È questo l’atto formale di nascita di Rifondazione comunista.

I locali dell’Associazione Culturale Marxista diventano la sede del Movimento. In pochi giorni si forma un Coordinamento composto da due compagni per ogni regione. A proposito rammento che Marco Ferrando fu designato nel Coordinamento dalla Liguria. Lui e il suo gruppo infatti aderirono al Movimento non aspettando il Congresso di confluenza di Dp.

Si elegge anche un Esecutivo composto da Sergio Garavini Coordinatore e da Armando Cossutta, Lucio Libertini, Ersilia Salvato, Guido Cappelloni come Tesoriere, Rino Serri, Bianca Bracci Torsi, Peppe Napolitano e Sandro Valentini. Successivamente vi entrano prima Gianni Giadresco e poi Luciano Pettinari in rappresentanza del gruppo ex Pdup di Lucio Magri che aveva deciso di uscire dal Pds per aderire al Movimento.

Il 10 febbraio si svolge al Teatro Brancaccio di Roma, il teatro in cui dopo la Liberazione parlò Togliatti, la prima manifestazione del Movimento alla presenza di oltre 5.000 persone. Rifondazione comunista conferma di essere una forza viva e radicata nella società.

Questa è la cronologia saliente degli accadimenti racchiusi in pochi giorni. Ma non bisogna pensare che tutto fosse scontato e lineare. Si giunse alla scelta di non aderire al Pds dopo una lunga e impegnativa discussione.

Per molti questa discussione era iniziata un anno prima a Bologna, il 12 novembre del 1989, quando Occhetto intervenendo nella sala della Bolognina, di fronte a una platea di partigiani, alla domanda di un giornalista che chiese se prevedeva mutamenti profondi nel partito, anche sul nome, afferma: <<Si possono presagire grandi mutamenti nel Pci. Anche nel nome.>>

Per “la galassia cossuttiana” invece la discussione era avviata da tempo. Quella di Cossutta era un’area che nel corso di un decennio si era andata organizzando via via che si compiva la “mutazione genetica” del Pci e il suo essere “parte integrante della sinistra europea”, cioè organicamente collegato con la socialdemocrazia.

La rivista “Interstampa”, l’Associazione Culturale Marxista e la rivista “Marxismo Oggi”, (1) erano i principali strumenti di organizzazione dell’area. Ma vi erano altre strutture di riferimento: i Centri culturali. Inoltre, l’area controllava sezioni dell’Anpi e di Italia-Urss, una serie di Comitati per la pace e numerose sezioni del Pci. (2)

Con il XVIII Congresso del partito, quello del “nuovo corso” di Occhetto, l’area si trasforma in componente. È un Congresso poco ricordato, (3) ma importante perché per la prima volta si svolge su documenti contrapposti, quello della maggioranza e quello di Cossutta, anche se il regolamento non garantiva la pari dignità tra i due documenti. La vita del partito era regolata da un ferreo centralismo democratico. (4)

Sarà dunque quest’area a divenire lo scheletro organizzativo di Rifondazione comunista. Rammento che Cappelloni, con fare cospiratorio, distribuiva da una stanzetta della Fiera pacchetti di tessere del Movimento, che aveva fatto stampare nei giorni precedenti, ma i referenti territoriali erano prevalentemente cossuttiani e ciò determinò delle preoccupazioni in Libertini e delle tensioni con Garavini.

Per giungere allo scioglimento del Pci ci vollero – come si sa – due Congressi. Al XIX, quello di Bologna, 7-10 marzo del 1990, si arrivò con tre mozioni congressuali. La mozione del sì alla svolta, “Dar vita alla fase costituente di una nuova formazione politica”, per realizzare la democrazia dell’alternanza; la mozione del no di Alessandro Natta, Pietro Ingrao e Aldo Tortorella, “Per un vero rinnovamento del Pci”; la terza mozione, quella di Cossutta e Gianmario Cazzaniga, “Per una democrazia socialista in Europa”.

Dunque, il fronte del no si presenta diviso. Tutti i tentativi di unificazione falliscono. Il più contrario a una mozione unitaria con Cossutta è Ingrao. Il suo obiettivo è di stabilire un rapporto tra il nome e la cosa, per dare alla nuova formazione contenuti di sinistra tramite una convergenza con la “sinistra del sì” di Antonio Bassolino. Ma la seconda mozione oltre agli “orizzonti del comunismo” e la difesa del Pci non è in grado di andare.

È la terza mozione, scritta sostanzialmente da Cazzaniga, che introduce aspetti innovativi e contiene una proposta alternativa a quella maggioritaria di una nuova formazione per sbloccare il sistema politico, “per non morire democristiani” come dicevano i sostenitori della svolta.

La terza mozione tenta di fare i conti con il tracollo del socialismo reale, ma anche con il neoliberismo, che aveva vinto la guerra fredda imponendo il suo modello sociale in tutto l’Occidente. Prova a rispondere alla svolta proponendo un nuovo progetto socialista nell’ambito di un quadro europeo di riferimento Si attesta così su una posizione più avanzata rispetto a quella della pura difesa del Pci.

Se si rileggono gli atti congressuali si nota che al centro del dibattito vi è la questione della natura del nuovo soggetto e le diverse opzioni sono trasversali alle mozioni. Invece scarsa traccia vi è nel dibattito di separazioni e nulla sull’idea della rifondazione comunista. Curiosamente la parola “rifondazione” viene usata per la prima volta dai sostenitori della svolta per indicare l’esigenza di trasformare il Pci in un’altra “cosa”. In un articolo anonimo su “L’Unità” del 25 novembre 1989, “Col tesseramento impegno di massa nella rifondazione”, la parola ha appunto tale significato. Ma con l’accentuarsi della lotta politica assume un’altra accezione: la necessità di rifondare un’autonoma formazione comunista.

Il cambio del significato del termine avviene nell’ambito dell’esperienza che molti militanti del no maturano a Roma tra il XIX e il XX Congresso. Per iniziativa di una parte della terza mozione, degli autoconvocati e di esponenti della seconda mozione, matura l’idea di costituire i Comitati per la rifondazione comunista. (5) 

Il primo comitato nasce nella sezione del Pci di Borgo Prati dove l’area cossuttiana era particolarmente forte. I promotori considerano arretrata l’impostazione della difesa del Pci. Occorre invece costituire Comitati che indichino l’avvio di un processo di lunga lena. In pochi mesi sorgono numerosi Comitati che svolgono iniziative autoconvocate in diverse sezioni: Nuovo Tuscolano, Testaccio, Cavalleggeri, Prima Valle, Mazzini, Italia, Ostiense, Tiburtino IV. Rammento che fui convocato da Cossutta presso il suo ufficio a Botteghe Oscure per essere richiamato all’ordine, per esprimermi le sue preoccupazioni sull’attività e gli obiettivi dei Comitati.

Ma il 28 novembre, nei locali della Sezione Esquilino, si tiene un’assemblea di alcune centinaia di militanti dal significativo tema: “Idee e proposte per la rifondazione di una forza comunista in Italia”. Intervengono anche Garavini e Giuseppe Chiarante. È la svolta. L’assemblea vota un ordine del giorno che propone una manifestazione nazionale entro gennaio. Il tentativo è di ripetere a livello nazionale l’operazione romana cercando di coinvolgere i Comitati per la difesa del Pci che si sono costituiti un po’ in tutta Italia.

Fui nuovamente convocato da Cossutta ma questa volta mi manifestò il suo apprezzamento per il lavoro svolto a Roma e mi informò della volontà sua e di Garavini di voler sostenere i Comitati nella loro mobilitazione nazionale alla vigilia del Congresso. I vincoli a cui dovevano entrambi sottostare, nell’aver sottoscritto la mozione unitaria, non permetteva loro di poter indire formalmente una manifestazione senza rompere l’accordo unitario raggiunto con tutto il fronte del no. Insomma, Cossutta “mette il cappello” su una iniziativa che solo un paio di settimane prima considerava <<fuori linea.>> Erano passati solo due giorni dalla riunione della terza mozione romana, svoltasi nella Sezione di San Saba, dove Olivio Mancini aveva criticato duramente l’attività dei Comitati. <<La loro linea non è la nostra>> disse.

La manifestazione si svolgerà, naturalmente in accordo con Garavini e Cossutta, il 6 gennaio del 1991 al Teatro Eliseo sul tema “Per il rilancio di una presenza comunista in Italia” Ma non è come Oliviero Diliberto e Sergio Dalmasso hanno scritto, errore che non fa invece Salvatore Cannavò anche se tratta in poche righe l’argomento, (6) che fosse un appuntamento voluto, promosso e organizzato dalla nascente area “Garavini-Cossutta”, che aveva tenuto il suo battesimo ufficiale il 4 gennaio alla Sala dell’Aranci. (7)

Non fu la nuova area “Garavini-Cossutta” a decidere chi doveva parlare. La manifestazione fu infatti introdotta da Pietro Antonuccio esponente dei Comitati e si concluderà con un appello stilato il giorno prima dagli stessi. Tra il 4 gennaio, riunione della Sala degli Aranci, e il 6, manifestazione dell’Eliseo, si tiene (il 5 gennaio), promosso dai Comitati, un seminario nazionale di un centinaio di quadri presso la Provincia, a Palazzo Valentini. Al termine dei lavori una delegazione composta da Walter Tucci, Luca Lo Bianco, Pietro Antonuccio e Sandro Valentini s’incontra al Bibo bar di Piazza SS. Apostoli con Serri e Braccitorsi, che era stata simpaticamente ribattezzata per la sua vicinanza a Cossutta <<la compagna della due e mezzo>>, per concordare un appello che sarà letto e approvato il giorno dopo dall’assemblea dell’Eliseo. Nell’appello si afferma:<<l’autonomia culturale, politica e organizzativa è la condizione stessa perché la rifondazione comunista possa vivere.>> Nel corso dell’assemblea intervengono, come concordato con il Coordinamento dell’area, Vendola, Libertini, Salvato, Cossutta e Garavini. In platea è presente tutto il gruppo dirigente di Dp.

La proposta della rifondazione comunista è vista con simpatia da Dp, dalla rivista “Comunisti Oggi” fondata da Luigi Vinci e Fausto Sorini e dalla sinistra della Cgil. Tra il XIX e il XX Congresso cresce pertanto un ampio movimento, dentro e fuori il Pci, contrario ad aderire al nuovo soggetto politico.

Considero lo sviluppo tra il 1990 e l’inizio del 1991 di tale movimento un aspetto decisivo, storicamente sottovalutato. Gli accadimenti di quel periodo sono stati esemplificati nei comportamenti e nelle posizioni dei gruppi dirigenti e della loro presunta granitica volontà di non aderire al Pds avendo chiara l’opzione strategica della rifondazione comunista. È stata invece l’attività generosa dei Comitati, che dopo aver imposto a Roma la loro visione svilupparono un intenso lavoro su scala nazionale, (8) a far maturare un orientamento politico favorevole di massa alla rifondazione comunista, e in qualche misura anche a imporlo sul gruppo dirigente del fronte del no.

Vengono poste così le premesse di una proposta innovativa secondo cui la ricostruzione di un soggetto rivoluzionario è un processo che non si esaurisce con la nascita del partito, anche se il partito è il luogo della rifondazione.

Certamente l’idea della rifondazione riceve un impulso importante dal seminario di Arco di Trento di fine settembre del fronte del no. Il tema del seminario è: “In nome delle cose – Materiali di dibattito per la rifondazione comunista”. Ma nonostante l’acquisizione dell’idea della rifondazione comunista e l’interessante relazione di Magri, il seminario si chiude senza fare chiarezza sulle prospettive. Fotografa le divisioni del gruppo dirigente del no.

Però attraverso la combinazione dell’attività dei Comitati e di alcune idee innovative emerse dal seminario di Arco di Trento si ottiene un importante risultato: il no si unifica nella mozione, almeno nel titolo, “Rifondazione comunista”. (9)

Dunque, anche al XX Congresso si giunge con tre mozioni. La prima, “Per il Partito democratico della sinistra”; la seconda, quella unitaria del no; la terza, di Bassolino, Mario Tronti a Alberto Asor Rosa, “Per un moderno partito antagonista e riformatore”.

C’è chi fa risalire in questa fase la determinazione di Cossutta a non aderire al Pds. Ma Cossutta non escludeva, abilmente, nessuna ipotesi. Partecipa agli incontri alla scuola di partito di Ariccia, detti del “caminetto”, dove tutti i leader del partito si riuniscono per ricercare un esito unitario. Gli incontri sembrano preludere a un accordo: la costituzione di un partito del lavoro o un patto federativo tra il nuovo soggetto e chi vuole proseguire un’esperienza comunista. Insomma, la posizione di Ingrao di “stare nel gorgo” è tutt’altro che isolata.

Con la guerra del golfo la situazione però precipita. La maggioranza decide di votare in Parlamento il documento del governo a sostegno dell’intervento militare statunitense in Iraq. Per la prima volta nella storia del Pci undici senatori, tra cui lo scrittore Paolo Volponi, si dissociano in Parlamento.

La determinazione di Cossutta cresce con il susseguirsi degli avvenimenti. E una volta maturata la scelta punta a costituite un partito avendo come riferimento il quadro politico-istiuzionale del momento. Ritiene (ma anche Garavini e Libertini avevano la medesima convinzione) che le forze proporzionaliste potessero respingere la deriva maggioritaria e bipolare. E in questo contesto ci sarebbe stato uno spazio anche per un partito comunista, in continuità con la storia migliore del Pci.

Quella errata previsione influenzò la discussione rendendo fino all’ultimo incerta la decisione sul simbolo e sul nome. Presso il notaio Fabbrani Bernardi di Rimini si ricostituisce infatti il Pci. Solo il 25 febbraio, presso il notaio Ciocci di Roma, sarà costituito il Movimento per la rifondazione comunista.

L’atto notarile di Rimini fu giustificato dalla preoccupazione che non si era a conoscenza dell’intenzioni del Pds sul simbolo e sul nome del Pci. Quindi era meglio premunirsi, anche legalmente, per evitare che qualcuno potesse appropriarsi del glorioso simbolo disegnato da Renato Guttuso su richiesta di Palmiro Togliatti. Resta comunque il fatto che le tessere distribuite a Rimini recavano il simbolo del Pci e che la delegazione di Dp presente al Congresso, una volta venuta a conoscenza di tale scelta, espresse la sua netta disapprovazione. (10) 

Per alcuni mesi ci fu dunque, per ragioni politiche, uno scontro durissimo con il Pds sul simbolo. Pochi rammentano che alla prima significativa scadenza elettorale, quella del rinnovo dell’Assemblea siciliana, il simbolo presentato dal Movimento per la rifondazione comunista fu quello del Pci.

Che la questione del simbolo e del nome fosse una questione politica rilevantissima lo si capì meglio al Congresso costitutivo di Roma. (11) La platea congressuale si spaccò sulla proposta del nome. Prima di giungere al Congresso vi erano state delle avvisaglie. Di una sono testimone. Era stato incaricato di ricercare un logo per il Congresso. Proposi, con il contributo di alcuni grafici, il logo di una falce e martello che formano una R, che stava per Rifondazione. Quel logo fu criticato da una buona parte dell’Esecutivo, in particolare da Libertini. L’opinione prevalente era che non si ricollegava alla tradizione del movimento operaio e comunista italiano, bensì ricordava i simboli delle formazioni estremistiche.

Il logo alla fine passò, ma compresi che sul nome ci sarebbe stata battaglia. Una parte dei delegati infatti non era per nulla convinta della proposta Partito della rifondazione comunista e dell’idea innovativa che sottintendeva. La proposta Partito della rifondazione comunista passò a maggioranza (12) su quella di Partito comunista. E passò soprattutto grazie al grosso dell’area cossuttiana, che sicuramente era meno nostalgica del Pci, avendo in esso subito pesanti discriminazioni politiche, rispetto ai belingueriani e agli ingraiani, che al contrario si sentivano orfani di un partito che ritenevano fosse stato loro scippato dai sostenitori della svolta. (12) Erano militanti e quadri di base che non coglievano a fondo le cause dello scioglimento del Pci e soprattutto che erano maturate nel corso di un decennio. Cause che venivano quindi da lontano. La svolta non era che una la forzatura del “traditore” Occhetto. (13)

Spesso nel Prc vi è stato un confronto politico e culturale tra i cosiddetti “innovatori” e i “conservatori”. Si è presentata l’area cossuttiana come il nocciolo duro della seconda posizione. L’operazione è stata favorita anche dalla scissione di Cossutta, Diliberto e Rizzo sulla drammatica vicenda del primo governo Prodi e per le scelte politiche e culturali fatte dal Pdci. E non è un caso che molti quadri berlingueriani seguirono Cossutta nella nuova formazione comunista, determinando il fenomeno culturale del “cossuttismo”, cosa profondamente diversa dalla vecchia area cossuttiana. Ma è indubbio che tra il XVIII e il XX Congresso del Pci e in tutta la fase di costruzione del Prc, fino alla Segreteria Bertinotti a conclusione del II Congresso del partito di Roma, dal 23 al 26 gennaio 1994, (14) l’area cossuttiana giocò un ruolo fortemente innovativo.

Il continuismo con la storia del Pci fu una inclinazione politica soprattutto di Garavini e dei suoi più stretti collaboratori. Ramon Mantovani, che partecipava allora alle riunioni dei garaviniani, cioè dei non cossuttiani, potrebbe testimoniare come il Coordinatore del movimento fu messo in una riunione riservata in minoranza su un punto decisivo: voleva proporre al Congresso costitutivo di Roma il nome Partito comunista. Come non può essere scordato il ruolo decisivo svolto dall’area cossuttiana sulla vicenda del governo Dini, primo vero atto politico rifondativo nella storia del partito, che determinò l’uscita dal Prc di Magri e di Garavini e di una parte importante dell’ex Pdup. (15)

Come, infine, va rammentato, che fu proprio il gruppo dei cosiddetti giovani di “Interstampa”, guidati da Guido Cappelloni, che furono decisivi alla tenuta della maggioranza di Bertinotti, al momento della sua rottura con Cossutta, sostenendo con convinzione nel Cpn (16) l’ordine del giorno della rottura con il governo Prodi. (17)

Dunque, in tanti anni di lotte politiche, di contrapposizioni e di lacerazioni nel Prc, molta manipolazione si è fatta, purtroppo anche ad arte, sugli orientamenti politici e culturali della “galassia cossuttiana”, spacciandola di conservatorismo, quando spesso questo orientamento era di altre culture, di altre tendenze. Per cui sono stato personalmente tacciato di stalinismo da chi nel ’68 e negli anni successivi gridava viva Stalin o viva Mao. Il sottoscritto tutt’al più aveva in quegli anni compiuto un “peccato di provincialismo” esultando al Pci di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer. 

Anche per queste ragioni la rifondazione comunista non ha fatto allora molta strada. Le difficoltà drammatiche di oggi sono anche il risultato di questo limite. Ma il tema della rifondazione è più che mai di attualità. E come vent’anni fa a Rimini sappiamo che non esistono scorciatoie: né tornare al passato, qualsiasi esso sia, Pci o al minoritarismo della nuova sinistra, né appellarsi a un pragmatico realismo, il cui approdo è l’omologazione della sinistra al capitalismo. Si tratta oggi di rifondare una sinistra per la trasformazione – Lenin e Gramsci avrebbero detto di un soggetto rivoluzionario – che indichi nel XXI secolo la via al socialismo.

Riparto da questa necessità, dettata dalla contraddizioni nuove e drammatiche che il capitalismo ha accumulato nell’epoca della globalizzazione. Ritrovo nell’odierna crisi strutturale del capitalismo, che si presenta come una crisi di civiltà, la straordinaria attualità dell’opera e del pensiero di Marx. È tempo allora di riprendere un’analisi e una pratica marxista rifondando, come ci hanno insegnato i nostri maestri, un pensiero rivoluzionario, espressione di una sinistra nuova che finalmente sia un intellettuale collettivo.

Riparto perciò da questa necessità in coerenze – credo – non solo con la mia storia di quarant’anni e oltre di militanza comunista, ma con la mia convinzione che di tale sinistra abbiamo bisogno per riproporre, dopo la straordinaria epopea della Rivoluzione d’Ottobre, il superamento del capitalismo.

Note

1) “Interstampa” è fondata nell’aprile del 1981 su iniziativa di un gruppo di dirigenti storici del Pci e di intellettuali quasi un anno prima che esplodesse il “caso Cossutta” sulla vicenda dello “strappo”. Il nucleo storico della rivista viene dunque da lontano, da un’opposizione sotterranea ma dura alle scelte del Pci, almeno dalla fine degli anni ’70 in poi. Infatti, per iniziativa del gruppo lombardo, nel 1979 fu presa la decisione di fondare la Cooperativa Editrice Aurora. Il primo fascicolo dell’Aurora esce nell’ottobre del 1979, “Cina, Viet Nam, Cambogia: all’origine dei conflitti” Tra i fondatori della rivista, oltre ad Ambrogio Donini, Pino Sacchi e Alessandro Vaia, vi sono: Giuseppe Angelini, Adelio Albarello, Arnaldo Bera, Alfio Caponi, Giulio Cerreti, Paolo Cinanni, Otello Nannuzzi e Paolo Robotti. Aderiscono alla rivista intellettuali di prestigio come: Ettore Biocca, Alfonso Di Nola e soprattutto Ludovico Geymonat e personalità come Nino Pasti. In seguito aderiscono: Renato Scionti, Ruggero Spesso, Giovambattista Gianquinto e intellettuali come Enzo Santarelli, Umberto Carpi e Alessandro Mazzone. L’Associazione culturale marxista nasce invece l’11 febbraio del 1987. Alla Associazione aderiscono alcuni dei più prestigiosi intellettuali italiani: Mario Alinei, Guido Aristarco, Umberto Carpi, Alberto Mario Cavallotti, Gian Mario Cazzaniga, Raffaele De Grada, Franco Della Peruta, Alfonso Di Nola, Ambrogio Donini, Filippo Frassati, Severino Galante, Ludovico Geymonat, Alessandro Mazzone, Cesare Musatti, Guido Oldrini, Luigi Pestalozza, Geo Rita, Gianroberto Scarcia, Nicola Sani, Guido Valabrega e Claudio Villi. Vi aderiscono anche dirigenti di partito, di sindacato ed ex parlamentari come: Gianfilippo Benedetti, Ernesto Cairoli, Guido Cappelloni, Aurelio Crippa, Gino Giulio, Paolo Guerrini, Sabino Malizia, Saverio Nigretti, Ubaldo Procopio, Ruggero Spesso e gli editori Teti e Vangelista. La Presidenza dell’Associazione Culturale marxista nomina Gianmario Cazzaniga Direttore di “Marxismo oggi” e Sandro Valentini Direttore responsabile. Dopo la rottura tra Cossutta e Cazzaniga sarà chiamato a dirigere la rivista Umberto Carpi. 

2) Per una maggiore conoscenza dell’area cossuttiana rinvio alla documentazione contenuta nel mio libro “La Vecchia talpa e l’Araba fenice” – La città del sole – 2000.

3) Forse il XVIII Congresso è poco ricordato perché fu il Congresso in cui il processo di snaturamento del Pci fu formalmente sancito senza una vera opposizione da parte di chi poi contrastò la svolta della Bolognina. Lucio Magri nel suo libro “Il Sarto di Ulm” – Il Saggiatore – 2009 riporta in appendice il documento base <<per una mozione collettiva da presentare al XVIII Congresso, in alternativa a quella di Occhetto>> “Una nuova identità comunista”. Ma Magri non spiega le ragioni per cui il suo documento rimase <<chiuso in un cassetto>> per essere due anni dopo riassunto e integrato e riproposto al seminario del fronte del no di Arco di Trento.

4) Ho in altre occasioni osservato e scritto che a volte la storia gioca con le idee. È infatti da considerare un paradosso storico che l’area di Cossutta, considerata la più ortodossa del Pci, pro-sovietica e fortemente ancorata a concezioni leniniste, fu quella che portò avanti e a sviluppò con coerenza, molto di più di Pietro Ingrao una battaglia per affermare la piena democrazia nel partito. A Ingrao va il merito di aver sollevato la questione nell’XI Congresso del Pci, ma a Cossutta va riconosciuto di aver praticato con scelte concrete e con determinazione il superamento del centralismo democratico. E se il Prc in vent’anni di vita non si mai posto il problema di ripristinare uno strumento vetusto come il centralismo democratico per regolare la vita di un partito comunista lo si deve anche per la sensibilità delle compagne e dei compagni provenienti dall’area cossuttiana. Credo che l’idea di un diverso modo di concepire la vita democratica del partito, con l’eccesso negativo purtroppo delle pratiche correntizie, ha rappresentato la maggiore discontinuità con il Pci.

5) Gli stessi, insieme a militanti di Dp, del Movimento per l’alternativa e settori del Movimento studentesco avevano dato vita un anno prima al Comitato per la difesa e il rilancio della Costituzione. Sento il dovere di ricordarli. Per la Terza mozione: Pietro Antonuccio, Massimo Fè, Marco Noccioli, Nora Tagliazucchi, Gianfranco Lannutti, Fabio Grieco, Vincenzo Siniscalchi, Franco Iachini, Ubaldo Procopio, Franco Pallone. Per gli autoconvocati: Fabrizio Clementi, Fabio Giovannini, Umberto Carbone, Vittorio Sartogo, Maurizio Mazzi, e Angelo Zola. Per la seconda mozione: Walter Tucci e Velia Simonetti. Per Dp: Maurizio Fabbri, Raul Mordenti, Giuseppe Bronzini e Maurizio Foffo. Per il Movimento per l’alternativa: Ivano Di Cerbo, Antonia Sani ed Enrico Giardino. Per il Movimento studentesco: D’Avossa Lussurgiu Anubi. Questo stesso schieramento, con un ulteriore allargamento, fonderà la rivista “Quaderni romani”, che nei primi anni di vita della Federazione romana del Prc, caratterizzata dalla gestione di Francesco Speranza e Gennaro Lopez di esasperato continuismo con la storia del Pci, sarà il principale fattore di innovazione politica e di ricerca culturale di una pratica per la rifondazione comunista. L’allargamento è ai quadri provenienti da Lotta continua per il comunismo, organizzazione che confluisce nel Prc dopo la sua costituzione, come Fabrizio Casari e Roberto Latella, ai quadri sindacali e di movimento come Paola Agnello Modica e Massimo Pasquini, a personalità come Giancarlo Lannutti, Ruggero Spesso e Francesco Zarcone, al gruppo degli avvocati comunisti guidati da Riccardo Faranda, a compagni come Touty Coundoul e Bruno Steri, alle compagne dei Luoghi delle donne, come Maura Cossutta, Federica Pitoni, Carla Ronga e Argia Simone.

6) Vedere Oliviero e Alessio Diliberto, “La Fenice rossa”, Robin Edizioni 1998, Sergio Dalmasso, “Rifondare è difficile”, Centro di documentazione di Pistoia, Cric Editore – 2002, Salvatore Cannavò, “La rifondazione mancata”, Edizioni Alegre – 2009.

7) Garavini e Cossutta decidono di far tenere a Pettinari la relazione introduttiva in quanto è il più convinto del gruppo ex Pdup della scelta di non aderire al nascente Pds. Questa riunione è considerata l’atto di nascita della nuova area. In realtà diverse riunioni larghe si erano svolte nei mesi precedenti presso L’Associazione culturale marxista. Ma la più importante di tutte fu la quella del 23 gennaio svoltasi alla vigilia del Congresso, in cui Garavini, su proposta di Cossutta, fu designato Coordinatore dell’area. La decisione era stata presa qualche giorno prima in una cena al ristorante romano Il Piedone in cui erano presenti, oltre Garavini e Cossutta, anche Libertini, Salvato, Cappelloni e Serri. Il 23 gennaio si decise anche che i tempi non erano maturi per fare subito un partito. Garavini propose di costituirsi a Rimini eventualmente in Movimento. 

8) Il 9 dicembre, presso la Sezione Italia si tiene una riunione nazionale dei Comitati. La relazione introduttiva e le conclusioni sono tenute da Valentini. Alla riunione sono presenti rappresentanze dal Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Campania, Puglia, Lazio, oltre una foltissima delegazione di romani. La riunione si chiude con la proposta di svolgere a Roma, il giorno dell’Epifania, un’assemblea nazionale e il giorno prima un seminario di approfondimento sulle questioni teoriche e politiche che sottendono il processo della rifondazione comunista. Nella riunione si chiarisce anche che i Comitati non si sentono vincolati alla disciplina della mozione unitaria. La sottoscrivono e la sostengono nelle Sezioni mantenendo però una loro autonomia, questo perché il loro giudizio sull’intero gruppo dirigente del fronte del no è molto duro, in quanto mostra una serie di esitazioni, tatticismi e una sostanziale rigidità rispetto alla promozione e allo sviluppo di un’iniziativa adeguata per la rifondazione comunista.

9) La mozione unitaria, scritta da Giuseppe Chiarante, è considerata non adeguata e insoddisfacente non solo dai cossuttiani ma anche dai Comitati. Lo stesso titolo della Mozione, “Rifondazione comunista” è in realtà una mediazione. La mozione infatti non indica come avviare il processo rifondativo. Si limita a riaffermare che <<la rifondazione comunista è, necessariamente, un processo di lunga lena: non si esaurisce né nella proposta di un nome, né in una singola scadenza congressuale. Per questo essa è il contrario di ogni progetto di separazione e di scissione.>>

10) Il più contrariato alla scelta di riportare il simbolo del Pci sulla tessera era Luigi Vinci il dirigente di Dp che più si era speso ed esposto per la confluenza del partito nel Movimento per la rifondazione comunista. Una parte dell’area di Giovanni Russo Spena era infatti contraria, in particolare due membri della Segreteria nazionale come Giulio Russo e Fabio Alberti, che al momento dello scioglimento di Pd, nel giugno del ’91 al Congresso di Riccione, non aderiranno al Movimento per la rifondazione comunista insieme a una parte minoritaria di quadri periferici. 

11) Il Congresso costitutivo del Prc si svolge in due fasi. La prima dal 12 al 15 dicembre del 1991 al Palazzo dei Congressi di Roma. La seconda, sempre a Roma, il 18 e il 19 gennaio del 1992 all’Hotel Ergife. Questo percorso in due tempi non era dovuto, come molti hanno interpretato, alle divisioni emerse al Palazzo dei Congressi sulle proposta del nome del partito, del Presidente e dei Luoghi di donne. Era un percorso previsto dal Coordinamento nazionale sulla base della bozza di Statuto definita, che preveda l’80 per cento delle designazioni nel Cpn dalle Federazioni e solo il 20 per cento dei componenti erano eletti invece dal Congresso. Per comporre gli organismi dirigenti occorreva che il Congresso approvasse prima però lo Statuto. Da qui i due passaggi. Nel primo viene approvato lo Statuto, che conteneva ovviamente anche le proposte del nome e l’istituzione del Presidente, nel secondo passaggio vengono eletti invece gli organismi dirigenti. Tra il primo e il secondo passaggio si svolgono anche la seconda parte dei Congressi di Federazione, che eleggono anche loro gli organismi dirigenti federali e designano i propri rappresentanti nel Cpn. Fu dunque un percorso congressuale molto complesso, che scaturiva dalla volontà di garantire che gli organismi dirigenti fossero composti in grande maggioranza dai territori. Il concetto della rifondazione comunista come processo partecipato dal basso trovava così proprio nello Statuto alcune prime significative risposte. E proprio le rappresentanze territoriali diedero la maggioranza a Cossutta rispetto a Garavini, che poteva contare su quadri espressione di una parte del ceto politico del Pci. La conferma che fossero questi i rapporti di forza tra i due la si evince dal voto segreto del Cpn sulla elezione del Segretario e del Presidente. Cossutta prese infatti una decina di voti in più di Garavini. La norma dell’80 per cento del Cpn su designazione delle Federazioni viene cancellata da Bertinotti dopo la scissione di Cossutta al V Congresso. Si affermano così gruppi dirigenti in larga base espressione di cooptazioni e di correntizie e di area, esattamente il contrario dello spirito statutario dei primi anni di vita del Prc. 

12) Su 1.178 delegati i favorevoli a Partito della rifondazione comunista furono 593, quelli a Partito comunista 396. Ben 189 non si pronunciarono e non votarono nessuna delle due proposte. 

13) La discussione sul cambio del nome del partito era in atto da diversi anni nel gruppo dirigente ristretto. Ciò che alcuni dirigenti rimproverarono a Occhetto, anche tra quelli sostenitori della svolta, fu la sua improvvisazione nel realizzarla. Poteva essere preparata in modo diverso e più adeguato, riducendo così ai minimi termini separazioni e scissioni. Attraverso una discussione partecipata e vera sulla natura del nuovo soggetto politico: liberaldemocratico, socialdemocratico, antagonista o portatore di un nuovo progetto socialista come il Pds in Germania.

14) È bene ricordare che la proposta di Fausto Bertinotti Segretario del partito, in sostituzione di Sergio Garavini, fu sostenuta con grande determinazione da Armando Cossutta che chiuse con Lucio Magri un accordo. Aldo Garzia, storica firma de “Il Manifesto” e collaboratore di Bertinotti nella rivista “Alternative per il socialismo” sostiene, come ricorda Salvatore Cannavò nel suo libro “La rifondazione mancata”, che fu un’idea congiunta di entrambi. Non veritiera è invece la ricostruzione di un Serri che si contende con Magri la primogenitura della proposta. Solo una parte minoritaria della sua area, guidata da Guido Cappelloni, il gruppo di “Comunisti oggi” (Luigi Vinci escluso), una parte di Dp, dirigenti di primo piano come Ersilia Salvato e Antonino Cuffaro, o quadri provenienti dall’area berlingueriana, come Bianca Braccitorsi, Francesco Speranza, Giuseppe Tarantino, Pier Luigi Pegolo, si opposero in vario modo alla proposta. Comunque lo schieramento pro o contro Bertinotti era trasversale alle tre mozioni presentate al II Congresso. La prima mozione, che prese il 70 per cento fu votata da Cossutta, Bertinotti, Magri, Garavini, Cuffaro, Serri, Castellina, Pettinari, Crucianelli, Vendola, Diliberto, Rizzo, Giordano, Grassi e Cappelloni (sono a proposito inesatte alcune ricostruzioni storiche, come quella di Simone Bertolini, che è tra l’altro una delle più ricche di informazioni, Rifondazione comunista, Il Mulino – 2004, e di Salvatore Cannavò, che lo collocano erroneamente nella terza mozione). La seconda mozione, un “correntone di sinistra”, che prese il 20 per cento fu sostenuta da Bacciardi, Ferrando, Maitan, Ferrero. La terza mozione, infine, che raccolse il 10 per cento dei voti, fu sottoscritta da Salvato, Braccitorsi, Belillo, Vinci, Sorini, Favaro, Giannini, Masella, Valentini e da un gruppo di romani tra cui Steri e Mordenti.

15) Cossutta e Bertinotti ritengono non più praticabile la linea di un accordo programmatico uscita dal II Congresso, mentre Garavini e Magri reputano irresponsabile volere le elezioni a breve e chiedono di investire i gruppi parlamentari all’interno di un accordo di programma e di un governo di centro-sinistra stabile. Nella riunione della Direzione del 19 gennaio 1995 il dissenso esplode. Una proposta di mediazione di Magri viene respinta. Nei gruppi parlamentari la spaccatura è ancora più netta. Il 22 gennaio viene convocato il Cpn che approva a larga maggioranza la linea Cossutta-Bertinotti. Ma una parte dei gruppi parlamentari non si rimettono alle decisioni degli organismi dirigenti: 16 dei 39 deputati e 6 degli 11 senatori rompono la disciplina di partito e votano il “rospo”: il governo Dini. La scissione verrà consumata il 24 giugno, quando 25 dirigenti nazionali, tra cui Garavini, Magri, Serri, Castellina, Crucianelli, Pettinari, lasciano il partito. Quasi tutti costituiranno la formazione dei Comunisti unitari che avrà breve vita, per confluire successivamente nel Pds. Ma il dissenso è molto più diffuso. Spiccano tra i dissidenti che decidono di restare nel Prc i nomi di: Nichi Vendola, Franco Giordano, Milziade Caprili. 

16) Si tratta del Cpn del 4-5 luglio del 1998 dove viene formalizzata la linea che porterà alla rottura con il primo governo Prodi. La tesi di Bertinotti è che la permanenza del Prc nella maggioranza di governo sta producendo un appannamento nella percezione dell’autonomia del partito, che rischia così di omologarsi. La mozione di Bertinotti ottiene la maggioranza con 188 voti, su 332 presenti al Cpn, pari al 56,6 per cento. La mozione di Cossutta, contraria alla rottura, ottiene 112 voti, pari al 33,7 per cento. La mozione di Ferrando, che si distingue dalle altre due pur essendo favorevole all’uscita dalla maggioranza, ma vuole dare una “sponda” a Cossutta, ottiene 24 voti, pari al 7,2 per cento. A proposito della “sponda” data da Ferrando alla posizione di Cossutta, recentemente ho potuto leggere i “Diari” di Severino Galante relativi a quel periodo e ho appreso che Franco Grisolia, braccio destro allora di Ferrando, partecipava alle riunioni di Cossutta per preparare la conta nel Cpn. Infine, la mozione dei “pontieri” di Patta, un gruppetto di sindacalista, ha appena 5 voti, pari al 1,5 per cento. Il giorno successivo Cossutta si dimette da Presidente del partito e avvia le procedure della scissione giustificandola che la maggioranza formatasi al III Congresso del partito due anni prima non esiste più, anzi è capovolta. Nella votazione è pertanto decisiva l’area della rivista “L’Ernesto” di Cappelloni, Grassi, Sorini e Pegolo, che si schiera con il Segretario. L’area è formata da cossuttiani in rotta con il neocossuttismo di Cossutta, Diliberto e Rizzo, e dispone un “pacchetto” di una cinquantina di voti nel Cpn e controlla Regioni come l’Emilia Romagna, le Marche, la Calabria e La Sardegna e importanti Federazioni come Milano, Torino, Bologna e Cagliari. Altri due ex cossuttiani, componenti della Segreteria nazionale, Aurelio Crippa e Graziella Mascia si schierano con Bertinotti. 

17) Il gruppo dei giovani di “Interstampa” era composto da: Gianni Favaro, Marco Rizzo, Mauro Gemma, Luca Corsi, Mauro Cimaschi, Fausto Sorini, Graziella Mascia, Giorgio Bergonzi, Dario Marini, Leonardo Masella, Claudio Grassi, Fosco Giannini, Leonardo Caponi, Alessandro Leoni, Katia Belillo, Orfeo Goracci, Franco Iachini, Pino Sgobio, Salvatore Dubla, e Sandro Valentini. Non più giovani ma in stretto rapporto con il gruppo operavano: Sirio Sebastianelli, Sergio Ricaldone, Aurelio Crippa, Giovanni Bacciardi (che uscì dal Prc su posizioni di sinistra, prima della scissione di Cossutta) e Luigi Marino. Di questi solo Corsi, Bergonzi, Marini, Caponi, Belillo, Sgobio e Marino seguirono Cossutta nel Pdci. Occorre dire che la prima incrinatura nell’area cossuttiana avviene subito dopo il XVIII con due scissioni: quella di Arnaldo Bera, Norberto Natali e Mauro Cimaschi che fondano la rivista “Nuova Interstampa” tentando di collegarsi con la formazione marxista-leninista del Pcd’I di Fosco Dinucci e al gruppo romano di “Radio proletaria”, l’altra, più corposa, sarà guidata da Sorini, Rizzo, Masella, Giannini e Leoni, che daranno vita con Vinci e la sua area alla rivista “Comunisti oggi”. Queste separazioni indeboliscono la sinistra della componente cossuttiana. A Roma, in particolare, ci sarà un duro scontro, che durerà fino alla nascita del Movimento per la rifondazione comunista, tra quella parte della componente sostenuta da Cossutta e Cazzaniga, guidata da Olivio Mancini, Dino Fiorello e Luigi Arata e il grosso dei quadri di sezione che, pur restando formalmente nella componente, svilupperanno una intensa attività politica, come è detto nella nota 5. Tra il I e il II Congresso del Prc il gruppo dei giovani che si erano trovati attorno alla rivista “Interstampa”, come ricorda Cannavò nel suo libro “La rifondazione mancata”, è da Cossutta completamente fatto fuori dai vertici del partito, tolte alcune eccezioni, in particolare di Rizzo, che si era organicamente collegato a Lucio Libertini, e di Aurelio Crippa e Graziella Mascia. A conferma di questa scelta riporto l’episodio a conclusione della seconda fase del Congresso costitutivo, gennaio 1992, che mi ha coinvolto direttamente. Cossutta per essere eletto Presidente viene a patti con Garavini sulla composizione della Direzione Nazionale. Sacrifica così sull’altare del compromesso una parte consistente della sinistra della sua area: Bacciardi, Favaro. Valentini e Braccitorsi, che si era avvicina moltissimo a lui. Cappelloni, in disaccordo con Cossutta, riesce a tutelare il solo Diliberto, che considerava un quadro di qualità, anche del quale Garavini aveva chiesto la testa. Cossutta si giustificò affermando che era stata una scelta dolorosa, una necessità per chiudere unitariamente il Congresso. Certamente Garavini era fortemente determinato a depennare dalla Direzione Nazionale questi quadri storici dell’area cossuttiana, ma è anche vero che poco o nulla fece Cossutta per tutelarli, ben contento di ottenere con un colpo due risultati: chiudere un accordo unitario con Garavini e liberarsi di una parte dei suoi che gli ponevano troppi problemi. Resta il fatto che dopo questo episodio la sinistra cossuttiana avvia un percorso di separazione dal leader dell’area fino a riorganizzarsi, con il gruppo di “Comunisti oggi” e alcuni quadri dell’ex due, nell’area de “L’Ernesto”. Personalmente pagai in quel momento due volte dazio: verso Cossutta, per essere stato tra i principali animatori del movimento dei Comitati per la rifondazione comunista, verso Garavini, che mi riteneva il responsabile delle azioni di aver fatto suonare Bandiera Rossa e di aver fatto portare da una ragazza sul palco un mazzo di fiori a conclusione dell’intervento di Cossutta nella prima fase costitutiva del Congresso del partito. Tutti i delegati scattarono in piedi e applaudirono e anche gli avversari che non volevano Cossutta Presidente del partito dovettero alzarsi e applaudire cantando l’inno con il resto dell’assemblea. Con una magistrale regia del Congresso e giocando sull’emotività Cossutta fu consacrato Presidente. Mi ricordo che nei giorni successivi Garavini in un incontro riservato mi disse:<<Per quello che hai fatto al Congresso te la farò pagare.>> E così fu.