domenica 19 giugno 2022

Sapere e liberazione

di Massimo Piermarini

Il lavoro è sempre presente nell’orizzonte del modo di produzione capitalistico. Esso
certamente non ha più nulla a che fare, se ci riferiamo alle sue determinazioni extra-
economiche, con l’idea produttivistica dello sviluppismo e con la cosiddetta “ideologia
del lavoro”. Nel capitalismo attuale, nel quale la componente cognitiva acquista sempre
più importanza, intervengono importanti innovazioni che interessano lo statuto del
lavoro vivo. Infatti, la produzione della ricchezza avviene tramite la conoscenza stessa,
grazie all’attività cognitiva e relazionale dei soggetti.
Capacità cognitive e attività di relazione sono diventate due facce della stessa medaglia,
inscindibili una dall’altra, e stanno alla base del general intellect, ovvero
dell’intellettualità diffusa, già preconizzato da Marx nei Grundrisse (1) . Quello che Marx
chiamava general intellect è la nuova fonte principale di (plus)valore ma è perché
diventi produttivo ha bisogno dunque di «spazio», cioè di un luogo, sia pur virtuale, in
cui sviluppare una rete di relazioni. Altrimenti, se resta incorporato nella singola
persona, diventa fine a sé stesso. Magari attua un processo di valorizzazione individuale
ma non il si realizza come valore di scambio per l’accumulazione della ricchezza, cioè
non funziona come una «merce».
In questo contesto il ruolo chiave è assunto dalla tecnologia, prodotta dall’applicazione
del sapere scientifico, su cui Marx ritorna più volte nello scritto Capitale e tecnologia.
Manoscritti del 1861-63 come nel Frammento sulle macchine nei Grundrisse, più sopra
citato. Marx scrive che il vero inizio della guerra di classe degli operai contro la forza
produttiva del capitale è riscontrabile con l’introduzione delle macchine, nei termini di
un antagonismo del lavoro vivo con il lavoro morto, che si è precedentemente
trasformato in capitale costante, cioè in mezzo di produzione, macchina. La produzione
capitalistica altamente sviluppata viene allora, raggiunta la fase del macchinismo e
dell’intelletto generale, messa in discussione insieme alla totalità del modo di
produzione capitalistico. Soltanto nella produzione di massa, insomma, l’antagonismo
tra operai e capitale si presenta in una forma pura. Lo sviluppo della forza produttiva
sociale si basa però, e su questo insiste Marx, “sull’operaio e sul perfezionamento della
sua specifica abilità” (2) . Il lavoro, combinato con la tecnologia, richiede superiori qualità
umane, cognitive e pratiche. Svolto nell’officina meccanica esso è assoggettato alla
funzione delle macchine, che aumentano la forza produttiva del lavoro vivo degli operai
impiegati e rivoluzionano il modo di produzione. Soltanto in queste condizioni
l’antagonismo tra lavoro e capitale si sviluppa, sottolinea Marx, “sino alla completa
contrapposizione” (3) . La tecnica da una parte riduce il lavoro necessario e dunque
aumenta il pluslavoro con un minor numero di addetti, rendendo superflua una parte di
lavoro vivo e riservando a quella inattività una funzione accessoria rispetto alle
macchine. Ciò svela la natura conflittuale del rapporto tra lavoro vivo e lavoro morto,
accumulato nelle condizioni oggettive di lavoro, che si contrappongono al lavoro vivo
degli operai.
Le forze naturali sono incorporate nel capitale grazie alle macchine e al sapere
scientifico, che assume un ruolo trainante di forza produttiva e di “fattore autonomo del
processo produttivo (4) che si separa dal lavoro immediato. In sintesi, la scienza diventa un
mezzo per produrre ricchezza, un mezzo di arricchimento interno al processo di
produzione capitalistico, una “forza estranea, ostile al lavoro, che lo domina”.
Questa relazione indubbiamente si modifica nel capitalismo cognitivo, che si fonda
invece sulla valorizzazione (estrazione di plusvalore) delle capacità, idee ed emozioni
umane espresse dal lavoro stesso e dal consumatore-produttore. Il lavoro è, in ogni caso,
la condizione naturale, eterna, degli uomini nel loro processo di ricambio con la natura.
Ma cosa significa questo?
Significa che il lavoro viene prima dell’economia politica e delle sue leggi, cioè si
colloca in un territorio profondo, in una radice antropologica e prima ancora, biologica.
È prima di tutto una relazione pratica con gli oggetti e con la natura ed è insieme una
relazione con se stessi e con la propria specie. È anche all’origine del pensiero, del
linguaggio e dell’intelligenza come segnala l’Ideologia tedesca di Marx ed Engels (5) .
Anche quando il lavoro sia emancipato dalle sue connotazioni giuridiche, politiche,
sociali, resta sempre all’opera la sua natura antropologica. In questo senso il lavoro è
espressione dell’uomo e soltanto dell’uomo. Non si può esprimere la propria umanità se
non lavorando, cioè diventando attraverso dei processi di soggettivazione protagonisti
nella sfera dell’attività trasformatrice, nel fare e nell’abilità dell’esperienza tecnica,
nell’impegno della pratica scientifica, nella produzione di beni e servizi, creazioni ed
opere.
Le conseguenze teoriche e politiche di questo discorso sono chiare: lavorare non è più
un valore in sé, ma ciò che viene prodotto dal lavoro (in senso ampio, non soltanto
economico) lo è, perché ciò che viene prodotto è l’espressione del produttore.
Le pagine marxiane dell’Ideologia tedesca e dei Grundrisse delineano una posizione sul
lavoro abbastanza difforme rispetto all’apologia lavorista del socialismo otto-
novecentesco. Oggi risulta problematico assumere la difesa d’ufficio del valore etico e
giuridico-politico del lavoro in quanto tale, ma l’attenzione va rivolta, da un punto di
vista marxista, al lavoro unito alla dignità e alle forme sociali della sua espressione,
soprattutto con riferimento alla divisione del lavoro e alla definizione dei gruppi sociali.
Bisogna riconoscere, e trarre tutte le conseguenze da questo riconoscimento, che nel
corpo semantico del termine “lavoro” sussiste una scissione tra lavoro dominato e
lavoro liberato (il che significa liberato anche dalle sue configurazioni produttive e
relazionali presenti e passate). L’indagine su questo fondo che circoscrive la radice
antropologica del lavoro, la sua carica creatrice, al di là di chiusure nell’economismo e
nel sociologismo, consente forse di ripensare la potenza virtuale e il carattere
progettuale del lavoro in senso marxista. Sul lavoro si può impiantare il progetto di
costruzione di uno spazio comune, in cui socializzazione oltrepassa i limiti
dell’economico e delle istanze giuridiche e politiche, pur necessarie, per dimensionarsi
sul potenziale di libertà e di felicità del collettivo. Sulla base delle nuove caratteristiche
del lavoro, che diventa sempre più intelligente, è possibile pensare ad un progetto di
liberazione del lavoro, in cui esso possa rivendicare il suo ruolo centrale nella
mediazione sociale e nello spazio pubblico, e puntare alla conquista del potere politico,
cioè alla democrazia reale. La ricerca necessaria punta a trovare, nelle dinamiche del
lavoro, la via d’uscita dalla società del capitale e a studiare il nuovo terreno
dell’emancipazione del lavoro, che sia anche emancipazione, cioè abolizione, di questo
lavoro e della legge del valore che vi corrisponde, al di là delle divergenti ricette
politiche riformiste-keynesiane o liberiste-selvagge. Se il lavoro conserva, malgrado le
forme della sua alienazione, un aspetto creativo, espressivo, inventivo e costruttivo
questo aspetto può rilanciarlo come un asse alternativo alla sussunzione sotto il dominio
formale e reale del capitale. I Manoscritti parigini, l’Ideologia tedesca e i Grundrisse di
Marx indicano nel concetto di specie (inteso soprattutto come Gemeinwesen, essenza
comune degli uomini) una possibile via di uscita dal modo di produzione basato sul
lavoro salariato. Paradossalmente la critica marxista del lavoro astratto (del lavoro
inteso semplicemente come quantità di valore) è possibile sulla base proprio di
un’astrazione teorica, quella di specie. Marx contrappone la nozione di specie alle
astrazioni reali del capitalismo (l’astrazione del lavoro, ridotto a quantità erogata,
quella del valore, ridotto a valore di scambio, l’astrazione del tempo, ridotto a misura
numerica, l’astrazione-razionalizzazione della produzione stessa rispetto al vissuto
esistenziale dei lavoratori). La specie, intesa come comunanza di genere è un’altra
astrazione, con caratteri di universalità superiore, che comprende in sé il modo di
produzione capitalistico, quelli precedenti e quelli successivi, cioè interessa la
conoscenza del rapporto degli uomini con le loro forme di vita. Abbiamo bisogno di
un’elaborazione teorica che non si presenti come mero bilancio empirico dell’esperienza
passata, ma affronti la questione della ricostruzione categoriale, al di là di utopismi e
profetismi, delle tendenze di fondo della totalità sociale, e perciò renda possibile una
previsione circa il movimento economico e politico globale che sia preliminare ad una
prassi politica a essa coerente.

1 K. Marx, Grundrisse, La Nuova Italia, Firenze, 1978, II, p.394.
2 K. Marx, Capitale e tecnologia, Manoscritti (1861-1863), Editori riuniti, Roma, 1980, p. 161
3 K. Marx, op. cit., ed. cit., p. 163.
4 K. Marx, op. cit., ed. cit., p. 169.
5 K. Marx, f. Engels, L’ideologia tedesca, ed. cit., pp. 87-88.