di Giovanni Barbera*
I dati pubblicati dall’Istat delineano una realtà molto più grave di quella propagandata dal Governo Meloni. L’inflazione generale resta stabile all’1,7% annuo a luglio, ma la vera emergenza riguarda il carrello della spesa, composto da alimentari e beni di prima necessità, che aumenta del 3,2% su base annua, in crescita rispetto al 2,8% di giugno. Un segnale chiaro di come le classi popolari e medie siano sempre più penalizzate da un’inflazione “selettiva”, che colpisce ciò che non si può evitare.
Contemporaneamente, i salari nominali registrano timidi segnali positivi: nel periodo gennaio–giugno 2025 la retribuzione oraria media è cresciuta del 3,5% rispetto allo stesso semestre del 2024. Tuttavia, questo aumento non si traduce in un effettivo miglioramento del tenore di vita. Al contrario, i salari reali restano circa il 9% inferiori rispetto ai livelli di gennaio 2021, complice una fiammata inflazionistica che ha eroso gran parte degli incrementi
Nel solo mese di giugno, l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie è cresciuto dello 0,5% su maggio e del 2,7% su base annua. L’aumento è stato del 2,3% nell’industria, del 2,7% nei servizi privati e del 2,9% nella pubblica amministrazione. Tuttavia, oltre il 40% dei lavoratori (circa 5,7 milioni) resta ancora in attesa del rinnovo del contratto collettivo, con conseguenze dirette sulla capacità di recupero del potere d’acquisto.
Si tratta di una forbice inaccettabile: da un lato salari nominali che crescono troppo poco, dall’altro prezzi che aumentano soprattutto dove incidono le spese essenziali. Questo scarto ha determinato una perdita strutturale del potere d’acquisto, soprattutto per chi ha redditi fissi o bassi.
Un altro elemento da segnalare è che l’inflazione non deriva solo da costi esterni (energia, importazioni), ma anche da dinamiche interne al sistema economico. Uno studio del Fondo Monetario Internazionale del giugno 2023 ha dimostrato che quasi il 45% dell’inflazione nella zona euro tra inizio 2022 e inizio 2023 era attribuibile all'espansione dei margini di profitto delle imprese, mentre meno del 25% derivava dalla crescita salariale.
È dunque evidente che le imprese — banche, compagnie energetiche, grande distribuzione — hanno sfruttato l’inflazione per incrementare i propri profitti, trasferendo il costo sui consumatori e che il Governo Meloni ha preferito tutelare questi extraprofitti anziché intervenire, dimostrando con i fatti di stare dalla parte dei privilegiati e non dei diritti popolari.
In questa prospettiva, le misure simboliche come il “patto anti-inflazione” o bonus temporanei appaiono del tutto insufficienti. È urgente contrastare il carovita con politiche strutturali: controllo pubblico sui prezzi dei beni essenziali, indicizzazione automatica di salari e pensioni al costo reale della vita, salario minimo legale dignitoso, e soprattutto tassazione straordinaria degli extraprofitti per finanziare interventi redistributivi concreti.
La scelta politica attuale è netta: si difendono i profitti dei potenti e si ignora il dramma delle famiglie. L’Italia è un paese sempre più diseguale, con disuguaglianze crescenti tra Nord e Sud, giovani penalizzati e pensionati in difficoltà.
Non si può più accettare il silenzio delle istituzioni di fronte a questa emergenza. Serve una mobilitazione popolare, sociale e politica, che metta al centro il lavoro, la giustizia sociale e il diritto a una vita dignitosa. Solo così potremo rovesciare un modello economico che arricchisce pochi e impoverisce molti.
*Segreteria nazionale PRC - SE
.jpeg)