di Giovanni Barbera*
La decisione del presidente statunitense Donald Trump di inviare la portaerei Gerald R. Ford nel mar dei Caraibi e di autorizzare operazioni militari “antinarcotici” nelle acque internazionali davanti al Venezuela segna un salto di qualità nella politica aggressiva di Washington verso l’America Latina. Sotto il pretesto della lotta al narcotraffico e della difesa dei “diritti umani”, gli Stati Uniti stanno in realtà rilanciando una strategia imperialista di controllo politico e militare dell’intero continente, nel solco della tradizionale dottrina Monroe, secondo la quale l’America Latina deve rimanere “cortile di casa” degli Stati Uniti.
Dietro la propaganda di Trump e del suo apparato mediatico, si nasconde la vecchia logica del dominio imperialista: quando le classi dirigenti statunitensi percepiscono il rischio di perdere influenza su aree strategiche del pianeta, rispondono con sanzioni, destabilizzazioni economiche, campagne mediatiche e, quando necessario, con l’uso diretto della forza militare. Il Venezuela, con le sue immense riserve di petrolio e la sua collocazione geopolitica, rappresenta da sempre un obiettivo fondamentale per gli interessi statunitensi. Dopo anni di tentativi falliti di rovesciare il governo venezuelano attraverso l’isolamento diplomatico, le sanzioni e il sostegno a opposizioni eterodirette, l’amministrazione Trump sembra ora intenzionata a forzare la mano con una nuova fase di pressione militare e psicologica, creando un clima da guerra fredda nel continente.
Questa escalation non è un fatto isolato. Essa si inserisce in un contesto regionale in cui gli Stati Uniti stanno tentando di recuperare terreno dopo anni di arretramento politico. L’avanzata dei governi progressisti in Brasile, Colombia, Cile, Messico e Argentina ha rimesso in discussione la storica egemonia di Washington nel subcontinente. Da qui il ritorno all’uso della forza e delle ingerenze: sostegno alle opposizioni reazionarie, promozione di crisi istituzionali, manipolazione dei mercati e, ora, aperta militarizzazione dei mari caraibici. Trump gioca la carta dell’anticomunismo, del nazionalismo e della “sicurezza interna” per consolidare la propria base elettorale, utilizzando l’America Latina come terreno di proiezione di forza, come laboratorio per riaffermare il primato statunitense nel mondo dopo il ridimensionamento subito in Asia e Medio Oriente.
La retorica della “guerra alla droga” torna così a essere l’alibi per un intervento che ha ben poco di umanitario. Gli Stati Uniti continuano a essere il principale mercato mondiale di consumo di stupefacenti, ma preferiscono trasformare la lotta ai cartelli in un pretesto per operazioni di sabotaggio economico e di spionaggio politico contro governi non allineati. Dietro i raid e le missioni segrete, vi è un messaggio chiaro: nessun Paese latinoamericano può permettersi di sottrarsi all’orbita di Washington senza pagarne il prezzo.
Il Venezuela, in questa fase, diventa così il simbolo di una resistenza che, pur tra mille contraddizioni, cerca di difendere la propria sovranità e di opporsi a un modello di dipendenza neocoloniale. Ma l’offensiva di Trump va letta anche come un segnale rivolto agli altri governi della regione: dal Brasile di Lula, accusato di eccessiva autonomia nella politica estera, al Messico di López Obrador, colpevole di non aderire pienamente alla linea statunitense sulla sicurezza dei confini e sul controllo migratorio. Gli Stati Uniti vogliono riaffermare un dominio complessivo, economico e politico, sull’intero continente, contrastando al tempo stesso la crescente influenza della Cina, che in questi anni ha consolidato legami commerciali e infrastrutturali in tutta l’America Latina.
Questa nuova fase dell’imperialismo statunitense, segnata dal ritorno di Trump alla Casa Bianca e dall’indebolimento del multilateralismo internazionale, è pericolosa non solo per i popoli latinoamericani ma per l’intero equilibrio globale. Essa mette in discussione il diritto all’autodeterminazione, mina i processi di integrazione regionale e rischia di alimentare una nuova corsa agli armamenti in un continente che ha bisogno di pace, cooperazione e giustizia sociale.
Denunciamo con forza questa strategia di dominio e di guerra. Siamo al fianco dei popoli dell’America Latina che lottano per la propria sovranità, per modelli di sviluppo indipendenti dal capitale finanziario e dalle multinazionali occidentali. Riaffermiamo la nostra solidarietà con il popolo venezuelano e con tutti i popoli che resistono all’imperialismo, convinti che la vera democrazia e la libertà non possano nascere dalle bombe e dalle sanzioni, ma solo dal protagonismo popolare e dalla giustizia sociale.
Oggi più che mai, la lotta contro la guerra e contro l’imperialismo è una sola e riguarda anche noi. Difendere la pace, l’autodeterminazione e la solidarietà internazionale è la condizione per costruire un mondo multipolare fondato sulla cooperazione e sull’uguaglianza tra i popoli, contro la barbarie del dominio statunitense e del capitalismo globale.
* Segreteria nazionale Prc-Se
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