martedì 23 settembre 2025

Multipolarismo ed emancipazione globale: la sfida di SCO e Sud del mondo all’Occidente



di Giovanni Barbera

La 25ª riunione del Consiglio dei Capi di Stato della Shanghai Cooperation Organisation (SCO), svoltasi a Tianjin, non è stata soltanto un appuntamento diplomatico regionale. È stata, piuttosto, la conferma che l’ordine mondiale ereditato da cinque secoli di dominio occidentale sta volgendo al termine. Russia, Cina, India e gli altri Paesi presenti hanno parlato apertamente della necessità di costruire un nuovo equilibrio globale, libero dalla morsa dell’egemonia europea e statunitense che ha segnato la modernità con orrori e devastazioni incalcolabili.

Per comprendere la portata storica di questo passaggio, occorre ricordare che dal 1492 in poi l’espansione coloniale europea ha imposto la propria legge su vastissime regioni del mondo, riducendo in schiavitù milioni di persone e sottraendo risorse a interi continenti. Uno studio di Utsa Patnaik ha stimato che tra il 1765 e il 1938 la Gran Bretagna abbia drenato dall’India risorse pari a circa 45 mila miliardi di dollari (Patnaik, 2018). Questo flusso economico contribuì in modo decisivo al crollo della quota indiana nell’economia globale: secondo le ricostruzioni storiche di Angus Maddison, l’India passò da circa il 24% del PIL mondiale nel 1700 a circa il 4% nel 1950, con un tracollo particolarmente drammatico nell’industria manifatturiera, scesa dal 25% della produzione globale nel 1750 a meno del 2% nel 1900 (Maddison, 2001; Patnaik, 2018). La dominazione occidentale, però, non si limitò a saccheggiare risorse: essa impedì sistematicamente la trasformazione sociale, bloccando l’emergere di modelli economici e istituzionali più equi sia nelle metropoli capitalistiche sia nelle periferie coloniali e postcoloniali, consolidando diseguaglianze strutturali che ancora oggi condizionano lo sviluppo globale.

Le Americhe furono devastate dal colonialismo europeo, con conseguenze catastrofiche sulle popolazioni indigene: secondo David Stannard (1992), in alcune regioni fino al 90% della popolazione nativa morì tra il XVI e il XIX secolo a causa di malattie, guerre, schiavitù e fame indotte dal colonialismo. L’Africa vide sottratte ricchezze naturali e umane attraverso il commercio degli schiavi, mentre l’Asia fu piegata da guerre dell’oppio e occupazioni militari. Nel Novecento, lungi dal diminuire, la violenza occidentale si è intensificata con due guerre mondiali, i bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaki, le guerre in Corea e in Vietnam, l’invasione dell’Iraq del 2003 e l’occupazione dell’Afghanistan, i bombardamenti NATO sulla Jugoslavia nel 1999, l’aggressione alla Libia del 2011 e alla Siria dal 2012. In nome della “democrazia” e dei “diritti umani” si è perpetuata un’egemonia fondata sull’intervento militare, sui colpi di stato, sulle dittature amiche e su embarghi che hanno condannato milioni di persone alla fame.

I dati confermano che questo sistema non ha prodotto benessere universale, ma diseguaglianze abissali. Secondo Oxfam (2024), il 90% della forza lavoro mondiale, concentrata nei Paesi del Sud globale, genera appena il 21% del reddito globale. Le élite economiche, in gran parte collocate nell’Occidente e nei centri finanziari a esso collegati, hanno visto la propria ricchezza crescere a ritmi esponenziali: nel 2024 i miliardari hanno accumulato patrimoni a una velocità tre volte superiore rispetto all’anno precedente, e nel solo arco di dodici mesi si sono aggiunti 204 nuovi miliardari, quasi quattro ogni settimana (Forbes, 2024). Non si tratta di ricchezza prodotta dal lavoro, ma spesso di patrimoni derivanti da eredità, privilegi e monopoli.

Il divario Nord-Sud, lungi dal ridursi, si è aggravato: nel 1960 il PIL pro capite nei Paesi ad alto reddito superava quello dei Paesi a basso reddito di circa 14.000 dollari, mentre nel 2023 questo scarto è salito a circa 52.000 dollari (World Bank, 2025). La dipendenza strutturale è tale che circa il 70% delle esportazioni del Sud globale è costituito da materie prime, con catene del valore che condannano i Paesi più poveri a restare fornitori a basso costo (UNCTAD, 2023). Guerre commerciali e tariffe punitive introdotte negli ultimi anni dagli Stati Uniti e da altri Paesi sviluppati continuano a creare incertezze sul commercio globale, con effetti particolarmente pesanti sulle economie più vulnerabili come Bangladesh, Lesotho e Myanmar (WTO, 2024). La Banca Mondiale prevede che i Paesi in via di sviluppo cresceranno nel 2025 solo del 4%, leggermente al di sotto del 4,2% del 2023, e che il reddito pro capite nei Paesi più poveri non tornerà ai livelli pre-pandemia prima di diversi anni (World Bank, 2025).

Il vertice SCO di Tianjin non rappresenta semplicemente la nascita di un nuovo blocco geopolitico, ma l’emergere di una frattura epocale nell’ordine mondiale. L’egemonia occidentale, che per secoli ha imposto guerre, colonizzazioni, saccheggi sistematici, diseguaglianze strutturali e sfruttamento, non è più in grado di dettare unilateralmente le regole del gioco globale. La sua incapacità di affrontare crisi economiche, sanitarie e ambientali senza perpetrare sofferenze nei Paesi più poveri dimostra il fallimento di un modello fondato sulla coercizione e sul profitto dei pochi a scapito dei molti.

Allo stesso tempo, la crescente influenza di Russia, Cina, India e di altri Paesi membri della SCO offre una finestra storica per il superamento di questo ordine. Il multipolarismo, se tradotto in pratiche concrete di cooperazione internazionale, può aprire spazi di autonomia economica, tecnologica e politica per i Paesi del Sud globale, riducendo la dipendenza da istituzioni finanziarie occidentali come FMI e Banca Mondiale. La creazione di banche di sviluppo alternative, l’utilizzo crescente delle valute nazionali negli scambi commerciali e la costruzione di infrastrutture energetiche e logistiche autonome sono passi concreti verso un mondo meno vincolato ai diktat dei centri imperialistici storici.

Tuttavia, il multipolarismo non è di per sé sinonimo di giustizia sociale o democrazia: le potenze emergenti hanno i loro limiti, le loro contraddizioni e, in alcuni casi, le loro politiche autoritarie. Pertanto il sostegno al superamento dell’ordine mondiale occidentale non implica un’accettazione acritica dei governi che oggi si pongono a capo del processo di cambiamento. La posta in gioco, dunque, non è solo quella di sostituire un centro di potere con un altro, ma di creare le condizioni perché i popoli possano finalmente rivendicare protagonismo e autodeterminazione. Questo significa battersi per istituzioni globali realmente rappresentative, per la protezione dei diritti dei lavoratori e per la salvaguardia dell’ambiente, con regole internazionali che favoriscano equità e cooperazione invece di conflitti e sfruttamento.

Il passaggio verso un ordine mondiale multipolare offre l’opportunità di trasformare una crisi storica dell’Occidente in un’occasione per costruire un mondo più giusto. È un invito alla vigilanza e all’azione: i popoli devono essere parte attiva di questa transizione, reclamando il diritto di decidere le proprie politiche economiche, sociali e culturali, di rifiutare le imposizioni esterne e di cooperare con altre nazioni per generare sviluppo sostenibile e benessere condiviso. Il compito che si apre ora è quello di vigilare e di lottare perché il multipolarismo non si riduca a competizione tra potenze, ma diventi terreno fertile per la liberazione dei popoli, per la costruzione di un ordine internazionale democratico e solidale. È questa la posta in gioco: trasformare la crisi dell’Occidente in un’opportunità per il mondo intero, spezzando finalmente le catene di un dominio che per secoli ha soffocato la libertà e la dignità dell’umanità. Spezzare finalmente le catene dell’egemonia occidentale significa non soltanto liberarsi da vincoli materiali e finanziari, ma anche affermare la dignità e la libertà di tutti i popoli, trasformando un’opportunità geopolitica in una reale possibilità di emancipazione globale.